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“Parlare” prima delle parole

Nella sezione Angolo del Terapista, Notizie il 10/05/21

Attorno all’anno d’età arriva un momento molto atteso dai genitori: le prime parole. Nonostante il bambino inizi a muovere piccoli passi nella verbalità in questo periodo, la sua comunicazione comincia molto prima.

Parlare e comunicare sono due cose diverse? Eccome! La comunicazione orale, o più comunemente “il parlare”, è il risultato di una serie di acquisizioni che il bambino conquista di mese in mese nel primo anno di vita. Insomma, per parlare bisogna allenarsi a comunicare. Ma come?

Nelle prime settimane, il neonato possiede prevalentemente risposte riflesse agli stimoli, e quindi non volontarie. È l’adulto, rispondendo ai suoi bisogni, a dare un significato ai segnali involontari. Quando il genitore o il terapista rispondono parlando al vocalizzo, il bambino inizia a strutturare la consapevolezza che il suono che produce potrà essergli utile a richiamare l’adulto. Nasce in questo modo l’intenzionalità comunicativa, attorno ai 5-7 mesi, ovvero l’invio volontario di segnali da parte del bambino, che ha il preciso intento di entrare in interazione con la persona e con l’ambiente. Allo stesso modo, si strutturano gradualmente tutti quelli che sono i prerequisiti alla comunicazione e successivamente al linguaggio orale, preparando il terreno, nell’evoluzione normotipica, al tanto atteso momento della “prima parola”.

Ma quali sono, nel particolare, le abilità utili ad uno sviluppo fisiologico? Vediamone alcune:

  • Contatto oculare;
  • Interesse verso l’altro e riconoscimento dei segnali comunicativi;
  • Attenzione sostenuta, condivisa e congiunta;
  • Gestualità richiestiva, dichiarativa e referenziale;
  • Alternanza dei turni e tolleranza nei tempi di attesa.

Il bambino affina queste competenze grazie all’imitazione e alla mediazione dell’adulto, ma esistono alcune proposte di attività che possano aiutare nella stimolazione durante le sedute di terapia (e negli ambienti di vita quotidiana!).

Dalla teoria alla pratica

CONTATTO OCULARE: la condivisione volontaria e sostenuta dello sguardo ci permette di prestare attenzione all’altro, rendendoci disponibili allo scambio comunicativo. Il contatto oculare può essere favorito da posizioni nello spazio che promuovano il guardarsi, principalmente frontali, ma anche laterali. Il logopedista deve rimanere nel campo visivo del bambino, alla sua altezza, in modo da poterne catturare e sostenere lo sguardo. Questo può comportare il sedersi per terra mentre il bambino è seduto sulla sua sediolina, o inginocchiarsi davanti ad una sedia alta su cui si è accomodato, o ancora sdraiarsi a terra quando è seduto sul tappeto. Strutturare preventivamente lo spazio di interazione può essere di grande aiuto: in una stanza ideale sono presenti un tavolino ad altezza bimbo, due sedioline (più alta quella del bimbo, più bassa quella dell’adulto) – anzi tre, nel caso ci fosse un peluche a tenerci compagnia -, un poggiapiedi per i piccoli che non sono abbastanza grandi da toccare a terra sotto il tavolo. Se si desidera mantenere un contatto fisico, la posizione migliore è quella a L, con l’adulto e il bambino vicini ad angolo retto, in modo che possano sia guardarsi che toccarsi. Anche gli oggetti di interesse devono rimanere nel campo visivo del bambino assieme al terapista, il quale potrà incoraggiare lo sguardo ponendo il gioco vicino al proprio viso o ai propri occhi. L’ideale sarebbe avere una mimica facciale evidente che catturi l’attenzione dell’altro, ma, in assenza di abilità teatrali dell’adulto, possono rivelarsi molto validi gli accessori da viso (travestimenti, occhiali, cappelli buffi, tempere da viso, maschere particolari), magari applicati sul volto, tra grosse risate e giochi di sguardi, dal bambino stesso.

INTERESSE VERSO L’ALTRO E RICONOSCIMENTO DEI SEGNALI COMUNICATIVI: il bambino deve poter sperimentare la felicità di condividere momenti con l’altro e la voglia di entrare in relazione e, di conseguenza, di comunicare. Uno dei modi più efficaci per stimolare questa competenza è l’inserirsi in giochi di particolare interesse, aggiungendo variabili che lo spronino a chiedere l’aiuto dell’adulto per provocare un dato effetto.

A questo scopo, si possono usare i libri interattivi (tattili, popup, morbidi, chi più ne ha più ne metta!) accompagnando il gioco con la voce e stabilendo dei rituali per i quali ogni volta che viene indicato/preso l’oggetto della pagina, il logopedista emette lo stesso verso/onomatopea. Ben presto il bambino inizierà a indicare l’oggetto e a guardare subito dopo l’adulto, in attesa che lui faccia qualcosa come capita solitamente e come si aspetta dalla routine. Soprattutto nel primo anno di vita, i giochi che più incuriosiscono i piccoli sono quelli sensomotori e di causa effetto: può essere quindi divertente utilizzare cubi morbidi per costruire o birilli da buttar giù. Anche in questo caso, occorre stabilire un rituale da riproporre -ad esempio costruire insieme la torre e poi dire “ooooooh… bum!” e buttarla giù solo in quel momento- in modo che il bambino si aspetti l’effetto e ricerchi l’adulto per ottenerlo. Il gioco può essere accompagnato dalla voce o dalla musica, possono essere utilizzati gli strumenti musicali in risposta al vocalizzo del bambino (il bambino emette un verso e il terapista suona le maracas, poi si ferma aspettando un altro vocalizzo al quale rispondere allo stesso modo). È importante, soprattutto nel primo anno di vita, accettare qualsiasi forma comunicativa chiara, che sia vocalizzo, parola o gesto, in modo che il piccolo sperimenti un vissuto positivo nei confronti della relazione e sia incentivato a raffinare sempre di più le sue abilità. Bisogna tener conto che ogni pazientino agisce in modo dinamico in un “sistema” composto da diverse variabili, prime tra tutte l’ambiente e la famiglia. Il logopedista deve indagare le abitudini, avere contatti con la rete, osservare come si rapportano i genitori e renderli partecipi delle strategie coinvolgendoli in modo diretto o indiretto all’interno delle sedute. Solo con un lavoro di squadra l’intervento può essere davvero efficace.

Quando il contatto oculare e l’interesse alla comunicazione sono consolidate, è possibile fare un passo in avanti per stimolare l’attenzione, la gestualità e la turnazione. Lo scopo rimane divertire e, soprattutto, divertirsi. Di questo e altri argomenti, però, parleremo in maniera più approfondita nell’articolo successivo… Alla prossima lettura!

 

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Sono specializzata nel trattamento di bambini neurodivergenti, con un focus su autismo e ADHD. Offro consulenze e screening nelle scuole di tutti i gradi per il linguaggio e gli apprendimenti; lavoro a stretto contatto con famiglie e istituzioni educative
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