“Non hai mai avuto un’infanzia se non facevi finta che l’estremità del marciapiede fosse una trave sulla quale camminare senza perdere l’equilibrio”
Anonimo
Alcuni bambini possono presentare difficoltà nella ricerca o nel mantenimento dell’equilibrio: cerchiamo quindi, con questo articolo, di analizzare la questione e proporre qualche soluzione.
Esistono 3 tipi di equilibrio:
1) equilibrio dinamico: si tratta di quello che riusciamo a mantenere in movimento. La stabilità ovviamente è garantita da una superficie di appoggio: più ampia è la superficie, più facile sarà rimanere in equilibrio. Ma anche l’accelerazione e la velocità del movimento ci aiutano a mantenere l’equilibrio: a tutti è capitato di riuscire a evitare una caduta solo velocizzando l’andatura o allungando il passo! Quando acceleriamo, infatti, il sistema vestibolare, posto all’interno del nostro orecchio, ci aiuta a mantenere l’equilibrio. Se avvertiamo un’imminente caduta, per esempio, ci viene naturale allargare le braccia, con un tentativo di riflesso di recuperare stabilità.
L’andare in bici è un ottimo esempio di equilibrio dinamico; se si osserva un bambino che inizia a prendere dimestichezza con le due ruote, si noterà che fa meno fatica a mantenere l’equilibrio quando la bicicletta si muove, mentre la parte più difficile per lui è imparare ad avviare il movimento, ovvero a cercare l’equilibrio quando la bici è ancora ferma.
2) equilibrio proattivo: si tratta della capacità di capire in anticipo di che cosa necessita il nostro corpo per mantenere l’equilibrio; di prevedere dunque, prima di compiere un certo movimento, quale azione ci consentirà di non cadere. Per esempio, ognuno di noi sa perfettamente quanta tensione elastica applicare alle proprie gambe per poter saltare e, soprattutto, quanta utilizzarne per poter riconquistare l’equilibrio a seconda che si atterri sul pavimento o su una superficie malferma, sconnessa o, ancora, su un materasso o altra superficie morbida.
3) equilibrio statico: indica la facoltà di mantenere una determinata posizione; per esempio, quando ci reggiamo su una gamba sola per infilarci un calzino o quando rimaniamo nella stessa posa per un periodo prolungato, come seduti alla scrivania dell’ufficio.
Quando questi tre aspetti sono coordinati, ci muoviamo in maniera fluida ed elegante e permettiamo al nostro corpo di lavorare efficientemente, senza tensioni o sforzi inutili.
E’ quindi l’armonica coordinazione di questi tre tipi di equilibrio che consente al bambino di muoversi e di giocare al meglio.
D’altra parte, ciascuno di questi punti influenza fortemente gli altri due e può quindi capitare che, talvolta, un bambino riscontri un problema con uno o più tipi di equilibrio.
Perché l’intervento dello specialista sia efficacie, è necessario che si riconosca la debolezza e si eserciti in particolare il tipo di equilibrio in cui il bimbo ha più difficoltà, sfruttando però, allo stesso tempo, le sue abilità collaterali.
Esaminiamo il caso di Mark, un bimbo di 5 anni.
Mark è molto attivo e vivace, ama correre e non sta mai fermo, sa andare in bici molto bene ma non è in grado di stare fermo; o meglio, da fermo non si regge in equilibrio. Cade dalla sedia quando è seduto per mangiare; non riesce a reggersi su una gamba sola; quando è seduto a tavola, deve appoggiare la testa sul piano per non cadere; quando gioca con le macchine per terra, non sta seduto sul pavimento ma ci si sdraia, a pancia in giù con la testa appoggiata su un braccio.
Il suo terapista sa quindi che, mentre equilibrio dinamico e proattivo sono molto sviluppati, Mark ha problemi con l’equilibrio statico: devono quindi lavorare insieme per insegnare al bambino ad andar piano, a muoversi lentamente, a non perdere l’equilibrio in assenza di movimento.
Il terapista usa sussidi piscomotori come “Di pietra in pietra”, “Isole sul fiume”, “Camminare sul fiume”, “Dischi tattili”, “Colline di miele” o “Percorso arcobaleno”.
Ecco un primo esercizio che propone a Mark: inizialmente, il bimbo deve restare in equilibrio su una piattaforma alta; quindi, attorniato da altre piattaforme colorate, dovrà spostare solo un piede sul colore indicato dal terapista. La difficoltà di reggersi su un supporto limitato e di pensare a come muoversi, per raggiungere il colore richiesto, costringono Mark a rallentare i suoi movimenti, controllandoli. In più, il supporto di base ha un’altezza diversa del supporto di arrivo e dunque Mark, anche dopo aver spostato il piedino, deve esercitare l’equilibrio statico per non cadere.
In seguito, il terapista chiede a Mark di tornare alla posizione di partenza, costringendolo a riflettere (e dunque a rallentare!) sul movimento da compiere, esattamente contrario a quello appena effettuato.
Questo esercizio è come una sfida per Mark che, da bambino sveglio e attivo qual è, la accetta di buon grado: ride per i suoi errori e gioisce per i successi!
Il terapista può rendere il processo sempre più difficile, semplicemente rallentando i suoi comandi: Mark deve infatti aspettare di più, in bilico in varie posizioni, prima di muoversi verso la posizione successiva ed esercita così, sempre di più, l’equilibrio statico.
Altri livelli di difficoltà sono dati dell’indicazione di piattaforme più vicine o più lontane o dalla richiesta di utilizzare, in particolare, il piede destro o sinistro.
Il terapista deve calibrare le sue richieste in base al grado di abilità di Mark, così da dargli sempre un’idea di sfida sì, ma adeguata, di modo che, dopo qualche insuccesso, il bimbo possa conquistare il traguardo ed essere soddisfatto (e consapevole) dei suoi miglioramenti.
Dopo pochi incontri, Mark dimostra già un ottimo equilibrio statico e ha imparato a muoversi a ritmi lenti come veloci!
Ecco Mark!
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